Ascoli Piceno Capitale italiana della Cultura nel 2024. Suona bene, ma arrivarci non sarà facile. Martedì 19 ottobre è stato fatto un passo decisivo con l’invio al ministero guidato da Franceschini il dossier con la proposta ufficiale della candidatura. Il testo non è stato reso noto, mentre la risposta sull’esito della pratica arriverà molto probabilmente entro marzo del prossimo anno. Ora sarebbe interessante chiedersi, al di là del prestigio, quali effetti pratici possa avere questo riconoscimento. Le premesse non sono certo incoraggianti.
Sfido chiunque a indicare quante e quali sono state le capitali italiane della cultura e citare una sola manifestazione che sia rimasta nella memoria o abbia superato i filtri dei telegiornali. Quindi non a che, ma a chi è utile, in genere ai sindaci che la sera dell’annuncio vengono citati e che possono vedersi in tv e mettersi questo fiore all’occhiello. Premesso questo c’è anche da chiedersi perché. Vale a dire quale sia l’idea forte, l’ambito, più o meno labile, il filo rosso che unisce e ricomprende una larga serie di iniziative a carattere culturale. E’ la prima cosa, fra l’altro, che è necessario specificare. Speriamo che il comitato che lo ha redatto su questo particolare aspetto sia stato molto convincente altrimenti anche questa iniziativa rischia di assomigliare molto uno dei tanti annunci periodici che nascono dalle parti di piazza Arringo e che poi restano confinati nelle buone intenzioni. Fatti due ragionamenti scomodi, ma che si misurano con la realtà c’è da aggiungere che questo titolo in qualche maniera sanerebbe il difficile rapporto che la città ha sempre avuto con i riconoscimenti culturali.
In tempi remoti ho cercato di verificare invano se quella del rifiuto degli amministratori dell’epoca all’offerta di Menotti a realizzare in città quello che sarebbe poi diventato il festival di Spoleto fosse solo una leggenda o una realtà. Forse la verità sta nel mezzo, nel senso che il diniego sarebbe compatibile con quello che era allora Ascoli, una città talmente chiusa in quello che considerava il suo mondo, lo spazio delimitato dai ponti, e che aprendosi avrebbe in qualche maniera favorito l’ingresso di persone e soprattutto nuove idee capaci di sconvolgere gli equilibri politici e sociali che si volevano conservare. E poiché una leggenda tira l’altra, qualcuno quasi a mostrare che ci si era accorti di quanto la città fosse unica, inventò che l’Unesco l’aveva inserita fra le meraviglie del mondo. Anche in questo caso nessuno mise in discussione questo fake, si direbbe oggi, è passarono anni prima che qualcuno spulciasse l’elenco dei siti Unesco per scoprire che Ascoli non c’era proprio.
Io spero che proprio questa ultima vicenda possa servire da monito evitando gli errori di allora. Infatti l’amministrazione dell’epoca tentò invano di ottenere il riconoscimento Unesco affidando la redazione della pratica ad una società specializzata. Soldi sprecati perché la domanda fu bocciata per il semplice motivo che al quesito sul perché dovesse figurare in questo prestigioso elenco, che fa dell’unicità l’unico criterio, non fu data alcuna risposta convincente. Per evitare equivoci va detto da subito che friggere olive oppure rullii di tamburi e squilli di chiarine non hanno questo requisito.
Speriamo davvero che stavolta sia indicata una motivazione giusta e convincente, diversa dal valorizzare ciò che di bello, storico e artistico c’è in città e zone circonvicine. Insomma bisogna evitare di confondere lo scopo (che è pure importante e va indicato) col motivo per cui si chiede il riconoscimento come ha fatto il sindaco in un’intervista.