Quando un pio di settimane fa uscì la notizia che ben 11 società di calcio erano coinvolte nel caso plusvalenze, i più ingenui hanno creduto che questa volta l’ennesima “tempesta” che si era abbattuta sul calcio italiano avrebbe fatto registrare clamorosi risvolti. In particolare le due squadre della cadetteria, Pisa e Parma, erano accusate di aver violato l’articolo 31 del codice di giustizia ai commi 1 e 2. Il primo prevede l’ammenda mentre il secondo la possibilità di punti di penalizzazione ma addirittura la retrocessione o l’esclusione dal campionato. Pisa e Parma in attesa della sentenza erano in… accelerata fibrillazione perché la loro colpa era stata riconosciuta molto grave: per iscriversi al campionato di appartenenza avevano gonfiato i valori di alcune plusvalenze. Per meglio capire, un giocatore che nella realtà avrebbe avuto un valore di 100 mila euro, nel bilancio societario veniva riportato che ne valeva un milione.
Martedì scorso, però, è accaduta una cosa a dir poco assurda: Il procuratore federale Giuseppe Chinè nella prima udienza del processo a carico delle società sotto indagine, undici di cui due della serie cadetta e 61 dirigenti sportivi, ha chiesto per Parma e Pisa solo ammende pecuniarie. Risibile la motivazione che ha spinto il giudice alla applicazione di una pena meno afflittiva: Pisa e Parma hanno cambiato la proprietà!!!. Bene così, Chinè ha tracciato la strada: da oggi in poi si può procedere tranquillamente nel fare plusvalenze e, per non incorrere in penalizzazioni o retrocessioni, basterà passare la proprietà del club, prendiamo il caso Ascoli come esempio, da Pulcinelli al signor Rossi.
Un reato similare commesso negli Stati Uniti verrebbe punito con pene severissime, non solo sportive ma anche giudiziarie. Perché? Si è danneggiata la comunità e gli americani non lo sopportano. In Italia la… musica è diametralmente diversa: a seconda di chi siede sul banco degli “imputati” si procede a determinare quale pena applicare. Il caso Parma – Pisa, qualora si fosse applicata severamente la legge, avrebbe avuto grande interesse per l’Ascoli che avrebbe guadagnato un posto nella griglia play off.
C’è poco da ridere ma soltanto mettersi a piangere per come viene gestito il calcio. Ma ci si può consolare, soltanto in minima parte, rilevando che nessun settore della vita pubblica italiana procede nella maniera più corretta in fatto di serietà ed onestà. Detto ciò veniamo al punto. Ricordate quel “tornado” che due settimane ha travolto il calcio nazionale? Ve lo ricordiamo. La Procura Federale comunica che 11 società, cinque di serie “A”, due di serie “B” e quattro delle serie minori, oltre a 61 dirigenti sportivi sono stati deferiti dalla Figc al tribunale federale con l’accusa di aver, presumibilmente gonfiato, plusvalenze di alcuni giocatori in violazione dei commi 1 e 2 dell’articolo 31. Chi legge commenta: “Questa volta ci siamo e verrà fatta… pulizia”. Errore, come al solito tutto, al termine del processo di primo grado, finisce in una bolla di sapone, sapone che non pulisce proprio nulla! Le posizioni più critiche, a cui era direttamente interessato l’Ascoli, erano quelle di Pisa e Parma accusate di aver violato l’articolo 31 ai commi 1 e 2. In particolare il più grave era il secondo con rischio penalizzazione, retrocessione addirittura radiazione dalla Figc. Chi sono i “pazzi” che hanno confezionato un’accusa così pesante? Non sapevano che le due società in questione avevano cambiato proprietà per cui i reati loro ascritti erano da considerare annullati con buona pace di chi credeva che sarebbe successo il finimondo. Ci siamo fatti una domanda: ma i giudici non erano a conoscenza, ancor prima di lanciare gli strali, che esisteva questa stupida scappatoia? Forse era chiedere troppo essere a conoscenza di ciò evitando così un clamorosa figuraccia. Ma non finisce qui. Le società coinvolte nel mancato rispetto dell’articolo 31 comma 1 sono state tutte prosciolte e con esse anche i 59 dirigenti sportivi cui era stata notificata la notizia che erano sotto indagine. Tenetevi forte alla spalletta della sedia per non finire sul pavimento: il tribunale federale ha sancito in primo grado che “non si può fissare oggettivamente il valore di un calciatore” per cui vanno a farsi friggere i cinque parametri di fare piena luce fra la valutazione iscritta a bilancio e quella rettificata ad arte per far quadrare i conti a seconda delle necessità contabili. Siamo in attesa del comunicato ufficiale della federazione: “Scusate tanto, ma si è trattato di un deprecabile errore che in futuro non si ripeterà!”. Questa è l’Italia che va!