Giornalismo d’inchiesta, una serata per conoscere la professione report

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Riprendiamo con la nostra serie di approfondimenti sul giornalismo: eravamo partiti con QUESTO e QUESTO.

Le grandi inchieste giornalistiche creano sempre scalpore, soprattutto quando si toccano i “poteri forti”, i personaggi famosi e i soldi pubblici; si alza poi un gran polverone fra reazioni sdegnate, titoloni sulle prime pagine, smentite e querele, però in genere le cose dopo cambiano poco o niente. Cercare la verità a volte è davvero impossibile: eventi come Ustica o l’assassinio di Aldo Moro sono solo due degli esempi più clamorosi di fatti che celano i “perché” dietro i famosi “muri di gomma”, che possono essere politici o finanziari o di diverse altre nature spesso occulte.
Queste le tematiche al centro di una serata di approfondimento sul giornalismo d’inchiesta che ha visto protagonisti Simone Monari, giornalista di “Repubblica”, e Alberto Nerazzini, giornalista televisivo che ha lavorato per “Report”, forse la trasmissione più famosa del genere, e con Michele Santoro, tanto per citare le collaborazioni più conosciute, oltre a diversi lavori da freelance. Un percorso, quello dell’evento, guidato dalle domande di Monari che ha portato al racconto di tutto il lavoro che c’è per arrivare a realizzare reportage, che ricostruiscono i fatti cercando di seguire le tracce certe ma tortuose dei fatti. Spesso si segue la scia di movimenti bancari e societari che arrivano a fine destinazione in paradisi fiscali esotici e lontani come le Isole Cayman, ma anche enclave europee come il Liechtenstein a due passi da casa nostra, dove le leggi vigenti tutelano totalmente ogni informazione privata e che, per questo, sono il rifugio sicuro di affari illeciti.

Per scoprire tutto questo ci vogliono: tempo (spesso mesi o addirittura anni) e ricerche complesse per seguire le tracce di società e denari, che disegnano dei veri e propri labirinti fra paesi con leggi che accettano la poca trasparenza e fanno da rimbalzo verso quei paradisi fiscali (dove tutto finisce in una sorta di nulla inaccessibile). Una volta superate questa difficoltà e raccolto materiale sufficiente alla realizzazione di un’inchiesta arriva il momento delle immancabili querele: lo stesso Nerazzini ha ricordato che l’Italia è il paese con il maggior numero di querele, che quasi sempre sono respinte o perse, quindi inutili, lui stesso ne è un caso emblematico con un numero da collezione Panini. Questi procedimenti, spesso senza reale fondamenta, non fanno altro che intasare un sistema sovraccarico come quello dei tribunali italiani, rallentando ulteriormente meccanismi già lentissimi di per sé, però immancabili baluardi di difese disperate di chi viene toccato dalle inchieste.
La differenza del nostro Paese rispetto agli altri sta anche nella mancanza di vere e proprie squadre di giornalismo investigativo, perché per arrivare a certe verità il livello delle ricerche si deve alzare all’investigazione con redazioni specializzate: se la Tv ha cambiato radicalmente il mondo dell’informazione, internet lo ha rivoluzionato in una sorta di sviluppo incontrollato di notizie di ogni sorta e genere. Certamente così si può arrivare a un numero immensamente maggiore di utenti, ma è anche più semplice diffondere notizie false e depistaggi assurdi costruiti ad hoc, lanciati sui social grazie al clamore di certi “titoloni” capaci di catturare la curiosità.

In ogni caso il giornalismo d’inchiesta è fatto di coraggio e professionalità e soprattutto tanta tenacia, specie in un paese come il nostro dove di faccende ingarbugliate e oscure ce ne sono sempre di più, come sempre di più mancano contratti, tutele e riconoscimenti per chi svolge questa professione che sempre di più fatica a raggiungere livelli di professionalità e formazione che sono la
basa delle garanzie per un’informazione chiara e di qualità. Giornalisti che diventano star, siti d’informazione non trasparenti e senza controllo, l’inesorabile fine della carta stampata sono tutti fattori che non giocano a favore di una narrazione basata sui fatti, alla ricerca di verità. Non bisogna, però, mai dimenticare che la vera differenza la fa il lettore; siamo noi che possiamo spostare la bilancia dei media, dando più credito a chi ne dimostra di più appoggiando così la trasparenza delle fonti di informazione più serie: premiamo il merito e l’impegno di chi fa informazione in modo professionale e serio.

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