Ascoli, “abbiamo ancora ragione noi”: cronache da una manifestazione antifascista

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foto di Andrea Vagnoni

Te lo ricordi quando eravamo noi così?” chiede sorridente un ex consigliere comunale di sinistra a un amico. Davanti ai suoi occhi si stava formando lo spezzone studentesco di Officina Universitaria, Rete degli Studenti Medi Marche, Collettivo Metropolis, Gulliver-UdU Ancona, UdU Urbino e -last but not least- ADI-Associazione Dottorandi e Dottori di ricerca in Italia. Sono loro la parte più bella di quanti hanno risposto all’appello rivolto a tutte le forze antifasciste locali e nazionali “per urlare insieme che Ascoli è antifascista: contro l’odio, l’intolleranza e i rigurgiti fascisti e neofascisti, contro ogni forma di repressione e abuso” da parte del collettivo Caciara. Sono organizzati, si preparano da giorni, sono venuti da Ascoli, dalla provincia, dai loro luoghi di studio universitario. Si sono organizzati con auto, megafoni, materiali, impianti audio. “Chi ha Spotify? Così possiamo mettere la mia playlist di sinistra” grida una e accanto a me qualcuno commenta: “Ma la voglio poi per me quella playlist”. I più giovani, alcuni giovanissimi, cantano e intonano cori (“Siamo tutti antifascisti”, “Bella Ciao”, “Fischia il vento”, oltre al simbolico motto degli extraparlamentari di sinistra della fine degli anni ‘70 “Fascisti carogne tornate nelle fogne”, i più presenti) e non smettono per tutto il percorso (“ma che testi sono?”, Sussurra accigliata una signora, però). Tre ore tutto compreso. Pugni chiusi in aria e cartelloni (alcuni fatti alla chetichella una volta accortisi di non averne). “Ma io ho finito la voce!” proverà ad articolare una più tardi, mentre si era ormai alle battute finali. Più di qualcuno, fra i liceali, si lamenta: “I genitori/i nonni/ i parenti di… gli/le hanno impedito di venire: temevano scontri” oppure gli universitari “ho dovuto nasconderlo ai miei, sennò sai quante me ne dicevano, non sono proprio felici della mia politicizzazione a sinistra…”.

Il punto di raccolta, già dalle 14 (l’inizio ufficiale, non rispettato, era alle 15) è piazza Cecco d’Ascoli, che molti ascolani non sapevano essere quella di Porta Romana, in quanto lì secondo la tradizione (e anche le ricerche di don Giuseppe Fabiani) si trovava la casa del grande astrologo, matematico, filosofo e poeta Francesco Stabili (e non a piazza Matteotti, dove si trova la sua statua). L’umidità è altissima, la temperatura è alta, soprattutto per un inizio maggio, al sole non si resiste e tutti ricercano dove possibile, c’è chi apre un ombrellino rosso. Il rosso è il colore che predomina, fra magliette, fazzoletti, cappelli e striscioni. E sulla pelle delle persone umida e arrossata. Gli striscioni sono fra i protagonisti a ogni manifestazione, si fotografano, ci si fotografa insieme, ma stavolta è diverso. Stavolta c’è una storia di striscioni a essere all’origine della manifestazione e ne abbiamo abbondantemente parlato QUI e QUI. “Ieri partigiani, oggi antifascisti” ad aprire e poi “Ascoli siamo noi! Pane, olio, olive e antifascismo” o “Magnetc lu pa’”, sempre in riferimento al  panificio L’Assalto ai forni o “Viva la liva antifascista” sull’identità ascolana; poi i più classici “Ora e sempre resistenza”, “L’antifascismo non è fuorimoda”, “Che Bella (ciao) l’Italia antifascista”, “L’antifascismo non è una scelta, è un dovere”, ”Il fascismo non è un’opinione, ma un crimine”.

C’è un popolo che si ritrova ed è incredulo. Nessuno fino a qualche giorno fa si aspettava di vedersi così, in corteo. Ci sono tutti, dal deputato in maglietta bianca, al consigliere comunale in camicia e giacca a quello col fazzoletto dell’Anpi o la t-shirt del Caciara. Tanti erano i politici, a tutti i livelli, ma sparsi nel corteo, insieme a persone di tutte le età, condizione, genere (non mancava di farsi sentire la collettiva transfemminista intersezionale Liberә Tuttә). C’era l’Anpi, la Cgil, l’Usb per i sindacati. Qualcuno veniva da lontano, c’erano quelli del bus dal nord delle Marche e poi “noi veniamo da Macerata” “Noi da Teramo e siamo in quattro” e poi c’era persino qualcuno da più lontano, da nord a sud della penisola, pochi di numero ma a portare simbolicamente un segno di unità e solidarietà. 600 come dice il Giornale, che parla di flop o ben più di 2mila? Non importa, tanti tantissimi come non ci si poteva aspettare in una realtà come Ascoli. “Sai che c’è -ragiona una quarantenne- potevamo andarcene al mare oggi, con questo tempo. Eppure siamo qui ed è bellissimo. Penso a tutti quelli che la pensano come noi, ce lo dicono, ma poi non scendono in piazza…”. Ma la nota malinconica dura un attimo. Oggi è un giorno di festa, e niente e nessuno lo riesce a guastare.

Ci si sorride (o ci si commuove di gioia), si brinda con una birra, ci si saluta -sembra- per essersi ritrovati dopo una lunga attesa. Fieri d’esserci. E, lungo il percorso, tanta gente alle finestre con gli smartphone in pugno, anche loro incuriositi e stupiti. Così, come i partecipanti, quando ci si rende conto che c’è il Tg3 nazionale, che il Corriere della Sera è in diretta e che la notizia -“una bella notizia per la città, finalmente”, commenta qualcuno, “rimbalzerà sui canali nazionali“. “Vogliamo che la nostra città cambi” dice qualcuno “e da qui dobbiamo partire”. Sembra quasi una risposta al tono di tanti che compulsivamente, sui social, commentano sotto gli articoli delle testate locali e nazionali con cose che -un po’ rielaborate e riassunte- suonano: “Ad Ascoli il voto è degli ascolani, fatevene una ragione”, ”75-25% stop, finito” “zecche rosse, ma andate a lavorare” “è solo una trovata di marketing”. Ma il tifo da stadio, sui social, ci sta. Qualcuno commenta in tempo reale: “Rosicano?”, qualcun altro: “La sinistra non portava così tanta gente in piazza ad Ascoli dal comizio in piazza di Berlinguer nel 1981”.

Che fare? Per parafrasare Lenin. Da osservatore interessato: innanzitutto, rimanere uniti. Senza distinzioni. E poi essere capaci di aggregare altri, tanti altri, a un progetto.
Ricordo un dibattito epico a Parigi, nel corso di Nuit Debout (per chi non ricordasse cosa sia stato quello straordinario movimento, ne ho parlato QUI), fra due mostri sacri come l’antropologo David Graeber e l’economista e filosofo (un binomio più difficile in Italia) Frédéric Lordon. Una marea di gente alla Bourse du Travail a due passi dalla Place de la République, cuore di quella esperienza (e della Parigi movimentista): la domanda era cosa fare, di fronte a un movimento crescente nei numeri? Fra democrazia diretta e necessità d’organizzazione, spontaneismo o strutturazione. E, riportata alle nostre latitudini, verrebbe da dire… occorre organizzare, ma dal basso. Tenendo dentro tutti. Aprirsi senza preconcetti, superando le diffidenze e le antipatie, oltre che le incomprensioni (ne avevamo parlato giusto un anno fa, come si è avanzato nel frattempo?).
Ed è interessante notare come un dibattito dal basso si nutrisse di due pensatori così importanti, anzi, tutta Nuit Debout era un continuo interscambio fra intellettuali e persone comuni: un’intelligenza collettiva che si costruiva passo dopo passo. Perché in questo percorso, se non si vuole che finisca qui, non farne un festival permanente dell’antifascismo per Ascoli? Noi di Ithaca abbiamo, più o meno iniziato a farlo (ad esempio QUI e QUI), ma serve la forza di tutti, nessuno escluso. Ogni settimana uno storico, un filosofo o un politologo, un sociologo e così via. Un intellettuale che faccia cultura, antifascista, nel suo campo. “La cultura non è intrattenimento, una perdita di tempo o un mercato. La cultura in Italia rappresenta la via più importante che abbiamo per diventare e restare umani“, come ha scritto Tomaso Montanari, e cittadini.
Si renda vivo, nelle sue sfaccettature, l’antifascismo perché come ha ricordato nel suo discorso in piazza la fornaia Lorenza Roiati, da cui tutto è nato: “Non saremo mai sobri nell’essere antifascisti”.

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