Pride, a Grottammare una folla giovane per reclamare una gioiosa libertà

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Ma come fai senza auto?”. Il racconto del Piceno Pride parte da lontano, apparentemente. Da una domanda semplice ma ricorrente: anche se siamo a corto di combustibili fossili e il pianeta è sull’orlo dell’apocalisse ecologica… persino io stesso (talvolta) me lo chiedo, pressato dalle esigenze della vita quotidiana, ad esempio mentre provo a organizzarmi per arrivare alle 15,30 di sabato 1 ottobre al Parco Belvedere di Grottammare (AP). Altrove, QUI su Ithaca, abbiamo parlato del ruolo del trasporto pubblico e dei suoi problemi. E ci tengo a ripeterlo: se non recuperiamo una dimensione collettiva del trasporto, non se ne esce. In questo caso, la soluzione è venuta da un car pooling dell’ultim’ora, grazie ai ragazzi e alle ragazze del Collettivo Caciara, una realtà importantissima e operativa da qualche anno ad Ascoli Piceno, che si dedica all’elaborazione e alla proposta in ambito politico e culturale (ad esempio QUI o QUI).

Occupati i quattro posti dell’auto, ci dirigiamo verso la costa. Durante il tragitto i discorsi vertono sull’attivismo giovanile nella nostra provincia. Sul come organizzarsi e provare a fare rete, in un contesto in cui tutto sembra molto spento, eppure esiste una richiesta (neanche troppo) latente di spazi di partecipazione (ne abbiamo parlato QUI). Arrivati a destinazione, fervono i preparativi per il corteo. Noto subito l’età media dei partecipanti, all’incirca quella dei miei studenti liceali, per un buon 95%. Questo fa ben sperare per il futuro, ma allo stesso tempo getta una luce abbastanza sinistra sulla realtà in cui viviamo. Ma un evento di questo tipo ha proprio tale ruolo: dare la sveglia, stimolare il dibattito e provare a questionare le coscienze.

Mi si fanno incontro alcuni studenti ed ex studenti della mia nomade carriera da docente precario di Storia e filosofia: imbandierati, provvisti di cartelli (splendido il “rabbia, proteggimi” che mi fa tornare alle memoria il bel saggio di cui ho parlato QUI), con i loro colori arcobaleno. Mentre attendiamo la partenza (e io vengo fatto girare un po’ come una Madonna pellegrina: “Ma io vorrei io un prof. così!”. Ma io sono rimasto umile) iniziano belle discussioni politiche sul significato profondo di destra e sinistra. Per tanti questo tipo di attivismo è l’inizio di una politicizzazione che potrebbe dare grandi frutti, se trovasse modo di maturare e strutturarsi. La curiosità attiva, di sicuro, c’è.

Un anziano personaggio, vestito con un saio, cattura per qualche minuto l’attenzione. Di fronte al suo grido volto a riportare i presenti alla “retta via”, il corteo griderà a squarciagola: “Siamo tutti peccatori”. La Grottammare delle ottobrate di italiani e stranieri (la temperatura e l’umidità sono altissime) osserva incuriosita lo sciamare delle persone dietro un risciò provvisto di casse. Vedo una coppia formata da un’anziana che si muove a fatica con la sua badante: si fermano, la badante tira fuori il telefono e inizia a fotografare sorridente. In tanti assistono da spettatori alla “novità” per la tranquilla cittadina rivierasca. Il servizio d’ordine dell’organizzazione e le forze dell’ordine irregimentano il corteo, forse un po’ troppo. Si canta, si balla e ogni tanto ci si sofferma per ascoltare qualche intervento volante (ne sottolineo uno che si concentra sull’importanza della salute psicologica, di cui abbiamo abbondantemente parlato QUI). I cartelli sono in aria, come sempre creativi, come sempre provocatori. Sventolano le bandiere arcobaleno, quelle rosse della Rete degli Studenti Medi e di Rifondazione comunista o anche una della Cgil e poi ci sono quelle dell’Unione Popolare. Cambiano le canzoni, fino all’urlo liberatorio: “A quelli che ci dicono come dovremmo essere o comportarci rispondiamo: vaffanculo!”, il tutto sulle note di Lily Allen. Si termina con un canto che deve essere collettivo perché è un vero e proprio manifesto politico, dicono al microfono: Tanti auguri di Raffaella Carrà. “Com’è bello far l’amore da Trieste in giù/L’importante è farlo sempre con chi hai voglia tu”.

In piazza Kursaal è stato montato il palco in cui si alterneranno le esibizioni e gli interventi. Innanzitutto ci sono gli organizzatori di Liberə Tuttə, il “gruppo transfemminista e intersezionale della provincia di Ascoli Piceno per i diritti di tuttə ad autodeterminarsi” (li avevamo brevemente intervistati lo scorso anno QUI). E poi via via  tutte le associazioni che avevano aderito alla manifestazione. A presentare c’è Ursula, ad esibirsi sono Simone Lole, Alexis Vanguard e Paolo Romersa.

Oh, ma non si può più dire niente” è il titolo di questo Pride e da Liberə Tuttə viene la spiegazione della scelta. “Lo hanno detto due ‘comici’, in prima serata sulla TV nazionale. Ma lo sentiamo ovunque, in qualsiasi contesto. Lo sentiamo a lavoro, al bar, in palestra, lo sentiamo da persone ‘normali’, dai fasci ai compagni che vengono al Pride solo per 2 selfie e un po’ di tokenismo a sforzo zero, da zia maria 73 anni, donna, madre, cristiana che dice ‘froc1o’ da una vita. Lo sentiamo anche da parte di alcune persone Queer, che dicono ‘a me non dà fastidio, quindi non dà fastidio a nessunə’altrə’. Per questo abbiamo scelto questo titolo, per rimarcare l’assurdo di un mondo in cui proprio chi ha sempre potuto dire tutto, oggi scopre cosa significa perdere una parte di quella che fino a ieri aveva considerato come una libertà insindacabile”.

E da lì una riflessione: “Ma che libertà è quella di chi ferisce? Di chi ignora le emozioni e le richieste dellɜ altrɜ perché ‘non faccio male a nessunə’? Non è libertà, ma arroganza, privilegio e prepotenza. Perché il linguaggio è uno strumento sociale carico di una potenza quasi incomprensibile, il linguaggio ci crea o ci distrugge, ci etichetta o ci autodetermina, ci libera o ci ingabbia. E quindi no, non si può più dire niente, o meglio niente che ferisca l’altrə, perché è questo che ci si aspetta in una società ‘civile’, perché le vostre ‘battute’ non fanno ridere, non lo hanno fatto mai”.

Non manca una spiegazione della scelta della data: “Il Pride è nato a giugno, ma da diversi anni, in Italia l’Onda Pride travolge tantissime città italiane. Parte da aprile e arriva fino a ottobre. Perché i diritti, la libertà di essere ciò che siamo, non iniziano e finiscono a giugno, esistiamo durante tutto l’anno e dovremmo celebrare le nostre identità ogni secondo della nostra vita. Il Pride in piccole città come le nostre serve proprio a far capire che ci siamo, siamo in mezzo a voi e che non siamo una comunità strumentalizzabile dalla forza politica di turno, di cui moltɜ, TROPPɜ, si vogliono fare portabandiera. Allora ci prendiamo noi il microfono per farvi sentire le voci del mondo LGBT*QIAP+”.

Tra gli interventi segnalo uno dei primissimi, quello di Sephani in rappresentanza dell’associazione Common Bubble (i nostri amici con cui abbiamo fatto un podcast QUI). Non lo dico perché è una mia ex studentessa, ma sul palco si è trasformata: dai timori per le possibili reazioni alle sue veementi parole, da parte del pubblico, alla normale ansia di parlare di fronte a centinaia di persone… è venuto fuori un intervento politico duro, che metteva in parallelo il 1922 e il 2022, a causa del risultato delle elezioni della scorsa domenica. Gli applausi sono scroscianti. Al termine ci ritroviamo con lei, accompagnata dal suo amico (e artista) Filippo e da Francesca della Rete degli Studenti Medi. Intavoliamo una discussione fra arte, politica, prospettive future di studio e lavoro. Intanto cala la sera e, anche se dal palco il volume è altissimo, le nostre parole continuano a fluire, in pieno spirito di condivisione e scambio del Pride. Rimasti da soli, io e Francesca discorriamo malinconici di amori infelici, quasi in contraddizione con il ribollente animo della piazza. Passa la sorella di lei, destabilizzata per qualche secondo da: “Ah, ma Lei è IL prof.” fino a che compagni e compagne della Rete la recuperano per il ritorno.

Cerco intorno a me gli amici e le amiche del Collettivo Caciara, la folla si sta disperdendo. Incrocio un’ex collega di francese del liceo linguistico: da grottammarese è fiera di aver ospitato l’evento. Il discorso vira subito sulla precarietà del mio lavoro. Il Collettivo sembra scomparso e, nell’era di internet, non ci siamo scambiati i contatti. Corro a San Benedetto del Tronto per prendere un mezzo per il rientro, ma invece alla fine mi riescono a recuperare. Io che, nel frattempo, avevo riunito un piccolo capannello di miei studenti e studentesse in Piazza Giorgini. Mentre torniamo in macchina nel capoluogo piceno ci scambiamo le impressioni sulla giornata. “Bisogna costruire un popolo, anche nella nostra provincia. Un cammino collettivo e trasversale ai temi” ma intanto si butta lì: il prossimo anno Pride ad Ascoli? (ne avevamo avuto un piccolo assaggio, QUI).

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